Domenica 13 settembre – Domenica 18 ottobre 2015

“Le Tentazioni di Simone”
Gian Carlo Venuto

a cura di Paolo Goi e Fulvio Dell’Agnese

Museo Diocesano D’Arte Sacra
Via Revedole, 1 – Pordenone
Tel. 0434 524340

Orario di apertura:
martedì 9.00-13.00

mercoledì 9.00-13.00/14.30-18.30
giovedì e venerdì 14.30-18.30
sabato 9.00-12.30

e-mail: biblioteca@diocesiconcordiapordenone.it
http://www.diocesi.concordia-pordenone.it

La duplice installazione artistica di Gian Carlo Venuto e Guido Cecere, negli spazi del Museo Diocesano d’Arte Sacra e del contermine Auditorium della Curia Vescovile di Concordia-Pordenone, è il segnale di una sfida positivamente raccolta.

Due protagonisti di rilievo dei linguaggi visivi contemporanei accolgono l’invito a confrontarsi con gli spazi e gli antichi volti del sacro, seguendo percorsi espressivi non convenzionali, tecnicamente distanti uno dall’altro, ma accomunati dalla volontà di riannodare un dialogo che si è quasi interrotto: quello fra i luoghi del Cristianesimo e l’arte del presente.

Si tratta di un problema importante e sottaciuto per la riflessione estetica del nostro tempo; quante sono le occasioni offerte e quali le capacità dell’arte contemporanea di affrontare i temi del sacro, di confrontarsi con lo spazio del rito, di rapportarsi – come in questo caso – con le immagini che quel ruolo seppero mirabilmente sostenere in passato?

Negli spazi ecclesiastici raramente si supera la diffidenza nei confronti dell’aniconico e delle nuove tecniche espressive, nonostante vi siano almeno alcuni esempi di installazioni temporanee (M.T. Onofri a Valvasone, A. Weyersberg e S. Squillaci a Cervignano del Friuli, per citare alcuni recenti casi locali; ma pure J. Pfeiffer a Monaco di Baviera, ecc.) che negli ultimi anni hanno saputo fornire indicazioni più che positive al riguardo.

Invece, troppo spesso si gioca “al risparmio”, accontentandosi di risposte piatte e convenzionali, senza tentare anche sul piano dell’arte l’apertura di dialogo con l’evoluzione di cultura e società che la Chiesa in altre forme ha ben dimostrato di cercare; senza dare credito ai più capaci fra gli artisti d’oggi per il possibile raggiungimento di quel senso della rivelazione, di quell’evocazione del mistero nella consistenza visiva del quotidiano che fu la magia della grande arte sacra del passato; senza insomma dare seguito alle parole accorate di Papa Paolo VI, che già nel 1964 diceva agli artisti: “Non vi abbiamo spiegato le nostre cose, non vi abbiamo introdotti nella cella segreta, dove i misteri di Dio fanno balzare il cuore dell’uomo […]. E vi abbiamo peggio trattati, siamo ricorsi ai surrogati, all’oleografia, all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa”.

In tale problematico contesto di fede e cultura si inseriscono le installazioni di Guido Cecere e Gian Carlo Venuto.

La prima – Ottavo cielo – consiste in una videoproiezione di circa 7 minuti, in cui l’artista ci accompagna in un ipnotico sentiero fra le nubi, negli impalpabili luoghi della luce di cui si nutrono sia la spiritualità sia la tecnica fotografica. Di albe in tramonti, il nostro sguardo progressivamente si perde in una vertigine visiva che potrebbe ricordare l’interminabile imbuto di colori voluto da Kubrick per alludere all’ultima soglia varcata dal protagonista del suo 2001 Odissea nello spazio. Non più l’angoscia e lo straniamento del brano cinematografico, nei cieli di Cecere, ma tutto il senso di una bellezza di natura che lascia sospesi, che davvero ci interroga sulle proporzioni etiche ed estetiche di quanto quotidianamente ci circonda.

L’intervento di Gian Carlo Venuto – Le tentazioni di Simone – si struttura invece di due elementi. Il primo è una grande carta intelata, parte di un ciclo di composizioni – Paesaggio italiano – in cui il pittore, con rigore di stile, esercita una sua tensione eversiva sulla storia dell’arte. L’opera si ispira alla trecentesca Maestà di Simone Martini, ma del modello sopravvivono pochi tratti; in particolare, emerge appena dalla superficie pittorica la presenza di Maria, che domina invece l’affresco senese con l’autorevolezza (scriveva il poeta Mario Luzi) di un “ovale / appena appena / granito porporino”, che “tutto in sé contiene, / seduta sul suo trono / di pace e di vertigine”.

Ridotti a un sussurro, i tratti di Madonna, angeli e santi ci parlano del senso della fragilità, della precarietà dell’uomo e delle sue opere, anche di quelle apparentemente indistruttibili;

Quanto sopravvive, ha a che fare con il “modo in cui il tempo si dispiega […], come se le pieghe del tempo servissero a garantire la salvezza di alcune cose, ma non tutte” (J. Berger).

Dalle pieghe del tempo Venuto evoca passi lontani, come segnali di un percorso che si prolunga nello stretto sentiero scenograficamente realizzato intorno al grande dipinto: frammenti di un vastissimo ciclo pittorico degli anni ottanta (Die Zauberflöte) divengono quinta vegetante di fiori sgargianti e buia flora inquieta, fra cui la forza contemplativa delle figure di Simone è chiamata a inoltrarsi. La pittura, nata dalla materia, con questa deve confrontarsi (“Sono oscuri / il turchese ed il carminio / nei vasi e nelle ciotole, / li prende / la notte nel suo grembo, / li accomuna a tutta la materia”); l’arte deve resistere alla tentazione dell’immanenza, sperimentandone la tentazione, perché il suo messaggio spirituale giunga a destinazione.

Alla fine, a risultare determinante è quanto l’intelligenza dell’artista non presume di poter completamente determinare:

“Mia? Non è mia questa arte,
la pratico, la affino,
le apro le riserve
umane di dolore,
divine me ne appresta
lei di ardore
e di contemplazione
nei cieli in cui m’inoltro…”

(M. Luzi)

Fulvio Dell’Agnese